Transizione energetica, a che punto siamo oggi
Cos'è la transizione energetica, gli obiettivi globali e il passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili. Approfondimento sul ruolo chiave delle auto elettriche e della crisi dell'industria europea. A che punto siamo oggi?

La transizione energetica è un processo che vede protagonista soprattutto l’Europa con l’obiettivo di decarbonizzare l’industria ed i trasporti. Prima di analizzare cosa vuol dire “transizione energetica” dobbiamo considerare quello che ci aspetta, ovvero uno stravolgimento del nostro modo di approcciare ai consumi. Secondo alcuni esperti se non accorciamo le distanze verso questo cambiamento, il prezzo da pagare sarà troppo alto per la salute del nostro pianeta. La transizione energetica non riguarda solo la mobilità, ma anche l’industria ed i consumi in generale. La transizione energetica è una sfida, un traguardo arduo che però ha evidenziato tutte le sue criticità, soprattutto economiche, con costi ricaduti in primis sull’industria dell’auto in crisi e licenziamenti dei lavoratori, portando alla chiusura di fabbriche.
Transizione energetica che cos’è
Ma cos’è la transizione energetica? In breve, possiamo definire “transizione energetica” come il passaggio dall’utilizzo di fonti energetiche non rinnovabili (combustibili fossili, carburanti e derivati dal petrolio) a fonti rinnovabili come il solare, l’eolico, l’idrico e molto altro. La transizione energetica fa parte di una più estesa transizione globale verso un’economia sostenibile che passa non solo attraverso l’uso di energie rinnovabili, ma anche tramite l’adozione di tecniche di risparmio energetico e di sviluppo sostenibile. Tuttavia, la transizione energetica non è un processo a costo zero: la crisi ucraina ha messo in evidenza, in modo brutale, i lati oscuri di un cambiamento che non ha tenuto conto di una società sempre più energivora, con i costi dell’energia elettrica schizzati all’insù da un momento all’altro.
Transizione energetica a cosa serve e perché
La transizione energetica ha l’obiettivo principale di imporre un cambiamento complesso nelle abitudini e nello stile di vita, spinto soprattutto da un approccio ideologico promosso da una parte della comunità scientifica, in particolare dall’IPCC. Quest’ultimo ha individuato nella CO₂ – che non è un inquinante, ma un gas climalterante di origine antropica prodotto dall’uso di fonti fossili – la causa primaria del riscaldamento globale.

L’eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera, l’effetto serra, trattenendo il calore solare più di quanto ne venga rilasciato, causa un graduale surriscaldamento del pianeta. Partendo da questo concetto, il passaggio a fonti rinnovabili aiuterebbe a ridurre l’impatto climatico ed al contempo a ridurre l’inquinamento, con benefici per la salute pubblica.
Transizione energetica Europa Green Deal
L’Europa, ed in particolare la prima Commissione UE guidata da Ursula Von der Leyen e da Frans Timmermans, è stata la portabandiera mondiale della transizione energetica (parte di un piano ben più ampio) e ha sancito il suo impegno verso un futuro green attraverso il Green Deal, un patto che ha raccolto un insieme di iniziative politiche proposte dalla Commissione europea per raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050.

Il passo intermedio verso questo traguardo, la riduzione del 50% delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE entro il 2030 e del 55% rispetto ai livelli del 1990. Uno dei punti più controversi del Green Deal è stato il bando alle auto termiche benzina, diesel, ibride e GPL/metano dal 2035 per il quale probabilmente si paventa un cambio di decisione.
Transizione energetica e “Accordo di Parigi”
Le politiche del Green Deal europeo sono in gran parte basate sugli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015, che mira a limitare il riscaldamento globale a meno di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali entro la fine del secolo. L’attuazione del piano, firmato il 12 dicembre 2015 a Le Bourget, vicino a Parigi, tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), ha previsto la revisione delle leggi esistenti e l’introduzione di nuove normative in settori come economia circolare, ristrutturazione degli edifici, biodiversità e mobilità. Tuttavia, non tutti gli Stati hanno aderito agli impegni di riduzione delle emissioni. Nel 2018, 183 Paesi hanno ratificato l’accordo, ma gli Stati Uniti si sono ritirati nel 2020 per poi uscire nuovamente nel 2025 con un ordine esecutivo di Donald Trump.

La scelta degli Stati Uniti di uscire dall’accordo è stata influenzata dal fatto che, nel tempo, l’Accordo di Parigi si è rivelato più vantaggioso per la Cina che per l’ambiente, considerando che la Cina detiene la tecnologia e le materie prime strategiche per attuare la transizione energetica.
La Cina, pur avendo sottoscritto l’Accordo di Parigi, ha superato l’Europa non solo nelle emissioni attuali di CO₂, ma anche nel totale storico accumulato, e presto farà lo stesso con gli Stati Uniti. Questo cambiamento ha implicazioni politiche significative, soprattutto con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Xi Jinping, pur promuovendo la rivoluzione verde e investendo in energie pulite come nucleare, solare ed eolico, è ancora il maggiore consumatore mondiale di carbone. Nonostante il suo ruolo dominante nell’auto elettrica e nelle energie rinnovabili, la Cina rifiuta di accettare vincoli internazionali sulle emissioni. Perciò alla fine solo l’Europa ha deciso intenzionalmente di sacrificare la propria industria per rispettare l’Accordo di Parigi.
Di recente è il Piano d’Azione UE per l’auto che punta ancora sull’elettrificazione prevedendo incentivi, innovazione, mobilità pulita e misure per la competitività e le materie prime. Lo ha presentato, correndo ai ripari, la Commissione Europea per rilanciare l’industria automobilistica: incentivi per l’acquisto e leasing sociale, fondi per l’innovazione, digitalizzazione e produzione di batterie, nonché misure straordinarie per l’elettrificazione delle flotte aziendali.
Transizione energetica e le auto elettriche poco vendute
Dopo la decisione dell’Europa di dimezzare le emissioni entro il 2030, si è aperta la strada per un mercato auto completamente elettrico. In Italia, entro quella data, dovrebbero circolare almeno 6 milioni di veicoli a emissioni ridotte o nulle, suddivisi tra 4 milioni di EV e 2 milioni di PHEV. Tuttavia, al 2025, nonostante cinque anni di generosi incentivi, la transizione energetica e il passaggio all’elettrico si sono arenati, mettendo in crisi il settore automobilistico, soprattutto in Europa.
Nel 2024, i veicoli BEV hanno rappresentato solo il 13,6% delle immatricolazioni europee, con una quota di mercato del 4,2%. Siamo quindi ben lontani dall’ambizioso obiettivo, proclamato da politici e manager all’indomani del Green Deal. In Italia, ad oggi, circolano appena 290.000 vetture BEV, un numero insufficiente rispetto alle previsioni.

Anzi molte aziende si sono ritrovate in crisi, costrette a ridimensionare la produzione, licenziare dipendenti o addirittura chiudere, come è accaduto allo stabilimento Volkswagen in Belgio, dove veniva prodotta la Q8 e-tron. La transizione, che sulla carta avrebbe dovuto creare nuove opportunità, ha invece messo in difficoltà intere filiere industriali, con stabilimenti chiusi e lavoratori senza un futuro certo.
Critiche sulla transizione energetica imposta dalla UE e considerazioni
La crisi energetica scatenata dalla guerra in Ucraina ha mostrato quanto sia fragile questo processo, contribuendo a rallentare la transizione energetica. I costi dell’energia sono schizzati alle stelle, mettendo ancora più pressione sulle aziende, che devono fare i conti con investimenti enormi per adeguarsi alla transizione, senza garanzie di ritorno economico nel breve periodo.
In più, da gennaio 2025, con l’entrata in vigore dei nuovi limiti di CO₂ previsti dal Green Deal, le case automobilistiche devono rispettare standard più severi, pena multe sulla CO₂: il tetto per il periodo 2025-2029 è fissato a 93,6 g/km, contro i 115,1 g/km del 2020-2024. Chi supera i limiti dovrà pagare 95 euro per ogni grammo/km in eccesso, moltiplicato per il totale delle vetture vendute, con sanzioni che potrebbero superare i 15 miliardi di euro. Per evitare multe, le case devono aumentare la quota di auto elettriche (che non vendono) fino al 25% delle immatricolazioni, riducendo la produzione di endotermiche. Ciò potrebbe portare a un taglio di 2,5 milioni di veicoli e alla chiusura di 8-10 fabbriche, con pesanti conseguenze occupazionali.
La domanda, quindi, è lecita: a chi sta davvero giovando questa transizione? Certamente l’ambiente ne trarrà beneficio nel lungo termine, ma se nel frattempo intere industrie collassano e migliaia di persone perdono il lavoro, forse sarebbe il caso di ripensare le tempistiche e le modalità di questo cambiamento. Perché una transizione che lascia dietro di sé solo macerie economiche rischia di essere più un problema che una soluzione.
Limiti CO₂ per le auto imposti dalla UE con la transizione energetica
I trasporti nell’Unione Europea generano circa un terzo delle emissioni di CO₂, con il trasporto stradale responsabile di oltre il 70%. Ma, limitando l’analisi alle sole autovetture, il loro impatto si riduce al 12% del totale (14,5% includendo i furgoni). L’introduzione di normative sulle emissioni sempre più stringenti, dall’Euro 1 del 1992 fino all’attuale Euro 7, ha contribuito a una progressiva riduzione.
Le regolamentazioni per il periodo 2020-2024 fissano un tetto di 115,1 g/km di CO₂ per le nuove auto immatricolate secondo il protocollo WLTP. Dal 2025 il limite è sceso a 93,6 g/km (-15% rispetto ai livelli del 2021) e, parallelamente, il settore ha compiuto anche progressi significativi nella riduzione dei veri elementi dannosi per la qualità dell’aria e la salute umana, come il particolato e gli ossidi di azoto: le emissioni di particolato dei motori diesel sono diminuite di oltre il 98% tra i veicoli pre-Euro 1 e quelli Euro 6, mentre gli ossidi di azoto si sono ridotti del 93,3% (-70% nei motori a benzina).
Ma la crisi in atto e il crescente costo dei veicoli nuovi stanno accelerando l’invecchiamento del parco auto circolante. In Italia si contano oggi 40,57 milioni di veicoli, con un’età media salita a 12,8 anni (era 7,9 nel 2009). Inoltre, il 21,8% del parco circolante ha oltre 18 anni, con 8,8 milioni di auto ante Euro 4 ancora in uso.
Considerazioni finali, chi è pro e chi è contro sulle modalità della transizione energetica imposta dalla UE
L’Italia, come gli altri stati d’Europa, si trova in un momento cruciale della transizione energetica: da un lato, registra progressi significativi nell’adozione di fonti rinnovabili, con una quota crescente di energia elettrica prodotta da sole, vento e acqua; dall’altro, permangono sfide importanti legate alla dipendenza dal gas naturale, all’obsolescenza di alcune infrastrutture e alla necessità di accelerare il processo di decarbonizzazione. Il Paese è chiamato ad un impegno maggiore per raggiungere gli obiettivi climatici europei, investendo in innovazione, efficienza energetica e nuove tecnologie, e al contempo garantendo la sicurezza e la stabilità del sistema energetico. La transizione non è solo una necessità ambientale, ma anche un’opportunità per lo sviluppo economico e la creazione di nuovi posti di lavoro, ponendo l’Italia all’avanguardia in un settore strategico per il futuro.
C’è chi la pensa diversamente, l’America oggi è contraria
Donald Trump è sempre stato critico nei confronti della transizione energetica, in particolare delle politiche volte a ridurre l’uso dei combustibili fossili. Durante la sua presidenza (2017-2021) ha favorito l’industria del petrolio, del gas e del carbone, smantellando molte regolamentazioni ambientali e ritirando gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, poi riammessi sotto Biden; successivamente, dopo il ritorno alla Casa Bianca, ha fatto nuovamente ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, indicando una continuazione delle sue politiche a favore dei combustibili fossili e contro le energie rinnovabili.
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