Tasse e fisco indiano sulle importazioni, nel mirino i costruttori d’auto
India contro Volkswagen, Suzuki, Honda, Hyundai e Toyota per imposte non pagate pari a 6 miliardi di dollari, relative dazi doganali e altri oneri. Come funziona la tassazione sulle auto importate in India.
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Diverse case automobilistiche attive sul mercato indiano, tra cui Volkswagen, Maruti Suzuki, Hyundai, Honda, BYD e Toyota, si trovano coinvolte in una complessa battaglia con il fisco locale. Le contestazioni, relative a imposte sul reddito, dazi doganali e altri oneri, ammontano a circa 6 miliardi di dollari.
Il governo indiano contesta tasse ai costruttori d’auto
Il governo indiano accusa alcuni costruttori di auto di eludere le tasse attraverso l’importazione di componenti auto dichiarati come parti singole per beneficiare di dazi inferiori rispetto alla tassazione per l’importazione di auto complete (65%). L’accusa principale è quella di aver importato veicoli quasi completi parzialmente smontati. Questa pratica avrebbe permesso ai costruttori di risparmiare ingenti somme sui dazi, riducendo l’importo che avrebbero dovuto pagare.
I costruttori d’auto coinvolti
L’India, attraverso il Central Board of Indirect Taxes and Customs (CBIC) (Department of Revenue, Ministry of Finance, Government of India) ed il Dipartimento delle Imposte sul Reddito, impone solo alla Volkswagen di versare quasi 1,4 miliardi di dollari di tasse arretrate non pagate, in seguito a 12 anni di controlli. Dal 2012, l’unità indiana di VW avrebbe dovuto al governo indiano tasse d’importazione e diversi altri prelievi correlati per 2,35 miliardi di dollari, mentre risultano versati solo 981 milioni di dollari. Questa almeno la versione di una delle due parti, mentre i tedeschi si difendono e citano in giudizio il governo indiano. A Maruti Suzuki sono stati richiesti 2,4 miliardi di dollari, alcuni dei quali risalgono addirittura al 1986, mentre Hyundai deve rispondere a richieste per 488 milioni di dollari. Tra Honda, Toyota e BYD ballano altri 2 miliardi di dollari.
Volkswagen e la storia delle tasse non pagate in India
Nuova Delhi accusa Volkswagen di aver importato la maggior parte dei componenti delle auto in spedizioni separate per poi assemblarle localmente, pagando così una tassa dal 5% al 15% ed aggirando i maggiori costi della tassazione sull’importazione degli autoveicoli che sarebbe stata dal 30% al 35%. Le importazioni sono state effettuate dall’unità indiana di Volkswagen e Skoda Auto Volkswagen India per Skoda Superb e Kodiaq, Audi A4 e Q5, e VW Tiguan. Si tratterebbe di una sorta di elusione, quindi.
L’avviso di 95 pagine dell’Ufficio del Commissario delle Dogane di Maharashtra recita: “Questo accordo logistico è artificiale. La struttura operativa non è altro che uno stratagemma per sdoganare le merci senza il pagamento dei dazi applicabili”.
Volkswagen si difende
La replica di Skoda Auto Volkswagen India: “Siamo una organizzazione responsabile, che rispetta pienamente tutte le leggi e le normative globali e locali. Stiamo analizzando l’avviso ed estendendo la nostra piena collaborazione alle autorità”.
Nel frattempo Volkswagen ha intentato una causa contro le autorità fiscali indiane per contestare questa richiesta di pagamento di tasse di importazione. La casa automobilistica tedesca sostiene che tale richiesta sia “incredibilmente eccessiva” e non conforme alle normative di New Delhi.
Il colosso teutonico si lamenta inoltre per l’inerzia e la lentezza dei funzionari indiani: passano troppi mesi prima che i tecnici tedeschi abbiano modo di esaminare i registri delle spedizioni, risalenti al 2012. In passato, l’India ha promesso notevoli agevolazioni a grandi aziende che avessero voluto produrre o assemblare nel Paese.
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Sicuramente questa lite fiscale tra il governo indiano ed i costruttori d’auto, in particolare con VW potrebbe compromettere i piani di sviluppo commerciale dell’azienda in India. Sia le aziende auto sia i colossi di altri settori adesso sono in allarme: temono che l’import-export non venga classificato correttamente ai fini fiscali.
Tasse sui dazi delle importazioni in India
Sotto il profilo burocratico, qualcosa non è andato per il verso giusto con diverse aziende: gli arretrati in sospeso di imposte su servizi, dazi doganali e accise sono schizzati complessivamente a 53 miliardi di dollari a novembre 2024. Di queste, il 70% oggetto di battaglie legali.
Tra i grandi gruppi italiani presenti in India, Stellantis, New Holland, Magneti Marelli, Enel Green Power, Italferr, Maire Tecnimont, Bonfiglioli, Ferrero, Bauli, Piaggio, Carraro, Maschio Gaspardo, Prysmian, Techint, Luxottica, Safilo, Danieli, Saipem, Brembo, Marposs, StMicroelectronis, WeBuild, Mapei, Maccaferri, Perfetti Van Melle, Tessitura Monti, Benetton. Sono inoltre operative in India numerose case italiane del design d’interni, moda e segmento lusso (tra cui Poltrona Frau, Artemide, Natuzzi, Zegna, Armani, Canali, Fendi Casa, Flou, IGuzzini ecc.), aziende nel settore della difesa (Beretta, Elettronica, Fincantieri).
Per circa 20.000 cause l’anno su arretrati, si potrebbe giungere a un compromesso, ossia una sanatoria parziale o totale, o a un accordo stragiudiziale. Da un lato, l’India ha tutto l’interesse immediato a riscuotere tasse arretrate; dall’altro, le dispute legali, con relativi costi, rischiano di far scappare gli investitori.
Come funziona la tassazione sulle auto in india (Make in India)
L’India già nel 2023 aveva annunciato di voler aumentare le tasse sulle auto e sulle moto importate, inclusi i veicoli elettrici, con l’obiettivo di spingere la produzione locale. Per importare un’auto con prezzo inferiore ai 40.000 dollari, la tassa da pagare è passata dal 60% al 70% mentre le auto semi-knocked-down – quelle assemblate in India ma con componenti principali importati separatamente, la tassa è passata dal 30% al 35%.
L’India è il terzo mercato automobilistico più grande al mondo, ma ha una delle tassazioni più alte del settore, cosa che ha già scoraggiato colossi come Tesla. L’azienda di Elon Musk, infatti, aveva preso in considerazione l’idea di entrare nel mercato indiano, ma ha poi messo tutto in standby proprio a causa dei dazi troppo elevati.
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