Dazi su auto cinesi, soluzioni per aggirarli
I Gruppi auto cinesi si stanno prontamente attivando per trovare soluzioni lecite che consentano di non pagare le tasse a Bruxelles. Ecco le tre strategie possibili.
Fatta la legge europea, trovato l’escamotage legale cinese per aggirarla: questo il titolo della telenovela che riguarda l’UE e le auto elettriche del Dragone. La prima puntata risale a giugno 2024, quando la Commissione UE annuncia extra tasse sulle auto elettriche importate dalla Cina, in vigore da luglio. Ossia aumenti dal 21% al 38%, da sommarsi al dazio del 10% già in vigore. L’imposta è proporzionata a quanto la Casa si sia dimostrata collaborativa. Meno ogni Gruppo asiatico ha aiutato l’UE nell’indagine sulle macchine full electric del Celeste Impero, più forte sarà il dazio; e viceversa. Un’inchiesta, quella di Bruxelles, nata su un presupposto contestato da Pechino: il governo del Paese della Grande Muraglia avrebbe concesso troppi sussidi di Stato di ogni genere alle Case locali, a discapito della concorrenza, danneggiando i costruttori occidentali.
Prima soluzione: Made by China
Come evitare i dazi? Locomotiva cinese automotive, come sempre, è BYD, colosso pronto a trascinare gli altri Gruppi auto, che lo seguono a ruota imitandolo: Build Your Dreams costruirà macchine elettriche – da vendere in UE – fuori dalla nazione del Dragone. Siccome solo le vetture full electric Made in China pagano dazio, quelle Made by China saranno esentate. Ecco allora che il gigante asiatico di Shenzhen aprirà presto una fabbrica in Ungheria. Da lì, inonderà il Vecchio Continente di veicoli elettrici.
Ungheria, nuovo Eldorado cinese dell’auto
La scelta di BYD (che anche altre Case stanno valutando) è ricaduta su Budapest, in quanto in terra magiara il costo dell’energia è bassissimo. Proprio quel costo cui hanno fatto spesso riferimento Volkswagen e l’ex CEO Stellantis Carlos Tavares come causa della crisi del settore. Il primo ministro Viktor Orbán ha scelto di continuare a importare gas a prezzi ragionevoli dalla Russia. Al contrario, tutti i Paesi UE hanno disposto il blocco dell’import da Mosca, per punire Vladimir Putin in seguito all’invasione dell’Ucraina nel 2022, facendo schizzare alle stelle il prezzo di gas ed elettricità, con effetti disastrosi per l’industria auto e per tutta quella pesante. Da parte sua, l’Ungheria passa all’incasso con livelli occupazionali elevati. In parallelo, la Spagna beneficia dell’investimento della cinese Chery a Barcellona, cui potrebbe aggiungersi l’orientale SAIC (MG) in Galizia. Come alternativa, la Repubblica Ceca.
Export, la chiave del futuro
D’altronde, BYD ha venduto 4,25 milioni di veicoli a livello globale nel 2024: le esportazioni rappresentano il 10% delle immatricolazioni aziendali, in aumento del 71,9% rispetto al 2023.
La società non ha nessuna intenzione di retrocedere.
Nessuna fabbrica di auto cinese in Italia
Dopo mesi di illusioni, con diversi incontri fra esponenti del governo Meloni e Case auto cinesi (come Dongfeng), nessuna società ha intenzione per adesso di aprire una fabbrica in Italia. Decisivo il no di Pechino, dopo che il nostro Paese ha votato a favore dei dazi sulle elettriche del Celeste Impero. Roma resta così spiazzata: dopo il flop del famigerato milione di auto l’anno entro il 2030 prodotte in Italia, il Dragone resta alla larga dalla nostra nazione.
Una seconda soluzione
Come minimo sino al bando termico 2035, vendere in UE auto ibride plug-in, macchine molto diverse dalle elettriche, in quanto animate da un grande motore a benzina, unito a una batteria ricaricabile. Logicamente, quando i politici della Commissione UE hanno imposto i dazi sulle elettriche, sapevano alla perfezione dell’esistenza di veicoli termici alla spina non tassabili. C’è stato allora un piccolo errore di strategia o di sottovalutazione della reattività politica ed economica di Pechino. Difficile che la tecnocrazia UE, dopo i pasticci in materia automotive scaturiti in disoccupazione e chiusura delle fabbriche, riesca a contenere l’ascesa inarrestabile di mostri sacri come la cinese BYD e altri cugini asiatici, spinti da una catena decisionale straordinariamente rapida, precisa e puntuale.
Terza mossa: margini di profitto esigui
Una terza soluzione anti dazi è tenere – almeno i primi anni – i prezzi delle elettriche bassissimi, con margini di profitto ridotti su ogni singolo esemplare, puntando a grossi numeri. Vendere tanto per incassare sulla quantità più che sul listino. I Gruppi cinesi, con risorse immense, hanno spazio di manovra in tal senso. Così da inondare l’UE di vetture del Dragone, premere affinché diventino status symbol.
Dazi UE per BYD, Geely, SAIC, Tesla
I produttori sono soggetti ai seguenti dazi compensativi: BYD 17%, Geely 18,8%, SAIC (MG) 35,3%, per cinque anni. Per le altre società che hanno collaborato, 20,7%. A Tesla 7,8%. A tutte le altre società che non hanno collaborato, tassa del 35,3%. La Commissione monitora l’efficacia delle misure in vigore. Tuttavia, le Case auto occidentali che nel 2025 non riescono a stare nei limiti di CO2 (la media delle vendite non deve superare una certa soglia), nel 2026 pagheranno 16 miliardi di euro di multe a Bruxelles.
Per evitarle, si aggregano in pool con Tesla e con i costruttori cinesi, versando importi elevatissimi. Quindi, alla fine, l’UE impone dazi al Celeste Impero, che però incassa fior di soldi grazie alle operazioni di pooling necessarie per stare alla larga dalle sanzioni della stessa UE. Un cortocircuito da tecnocrazia.